La storia della filosofia è una storia di fraintendimenti. Un susseguirsi di interpretazioni dove la successiva spesso smentisce la precedente. Se questo è vero per tutti i classici, lo è a maggior ragione per Baruch Spinoza. Spinoza è un filosofo atipico, un crocevia di culture, una vera eccezione nell’itinerario del pensiero occidentale. Del resto, pochi autori sono stati così interpretati, pochi hanno rappresentato un riferimento così intenso per le epoche successive. Allora chi è davvero Baruch Spinoza? Il pensiero di Spinoza si nutre di diverse fonti: ebraica, filosofica, scientifica, solo per citare le principali. Ridurlo a una sola di queste è impossibile, perché l’una si intreccia nell’altra in una sintesi che ha pochi eguali per altezza, profondità e originalità. Tutte sono presenti nell’opera del filosofo, ma rispetto a ciascuna si registra un’eccedenza, che rende il Maledictus (uno dei tanti nomi attribuiti a Spinoza) un pensatore eccentrico e forse unico proprio per questo. Di Spinoza abbiamo infinite interpretazioni, ma da lui non nasce una scuola. Non si può parlare di uno spinozismo negli stessi termini in cui parliamo di un cartesianesimo, di un kantismo, di un hegelismo. Forse per questo la sua figura ha potuto ispirare intellettuali così diversi: dai medici e gli scienziati positivisti del Seicento e Settecento ai grandi metafisici a lui successivi, da Fichte a Hegel, da Schopenhauer a Fechner, passando per le correnti libertarie prerivoluzionarie. Forse, però, Spinoza non ha voluto parlare a nessuno. La sua è stata una riflessione solitaria, volta alla ricerca della felicità, non certo intesa come godimento dell’istante. Questo, che può apparire un limite, è in realtà la grande virtù che gli ha permesso di attraversare indenne le varie epoche e arrivare fino a noi.